giovedì 24 luglio 2008

Due su tre


Dal concerto dei Blonde Redhead sono tornato con una certezza e un dubbio.
La certezza è: la cantante giapponese, Kazu, deve avere una grande confidence nel suo corpo: se ne stava in questo vestito corto, che però sembrava più una t-shirt lunga, con una cinta in vita e stop.
Non era tanto il vestito però, era come lo portava: come una bambina.
Insomma, si muoveva, correva, ballava, come fanno le bambine: senza stare troppo a pensare.
Ecco, questa cosa mi è piaciuta, sembrava volesse dire sono bella ma non è questo il punto.
Il dubbio è: dove guardava Simone, il batterista, mentre suonava i passi più difficili di The Dress?
No perché aveva questo sguardo, che non era concentrato, guardava come se stesse ascoltando qualcuno, un consiglio, qualcosa del genere.
Ecco, avrei voluto guardare dove guardava lui: perché i consigli sono sempre ben accetti.

lunedì 31 marzo 2008

Comprare casa, facendo quadrare tutto.


Non so se avete mai cercato casa, funziona così: chiamate un’agenzia immobiliare, vi risponde una ragazza che prima o poi [più prima che poi, perché il tempo è denaro] vi chiede: eh, ma di che cifra si parla?
Voi parlate della cifra, lei soffoca la risata e vi dice: guardi ho inserito i dati nella sua scheda personale, la richiameremo quando ci sarà una disponibilità.
Da lì in poi verrete richiamati settimanalmente per disponibilità che costano il doppio della vostra disponibilità, ma che sono comunque trattabili.
A me non piace trattare, quindi ho trovato questa soluzione: la serie L.V. di Rocio Romero.
Son case prefabbricate fatte a moduli quadrati, in pratica il genere di case che disegnavo quando era ragazzino: non so se è per questo che mi piacciono così tanto, più probabilmente perché mi ricordano Hopper.
Praticamente son fatte di vetro e cemento, e già detto così fa tanto design: quando le disegnavo io me le immaginavo davanti al mare.
Certo poi, panorama a parte, bisognerebbe trovare un posto dove il tasso di criminalità sia bassino, perché per aprirle credo che sia sufficiente un comunissimo sasso, lanciato con neanche troppa energia.
Per il modello L.V.L., che poi sarebbe quello giusto per me, sarebbero 42.115 dollari, che al cambio attuale fanno 26.600 euro.
Intrattabili, ma va bene così.

giovedì 6 marzo 2008

Siate elastici


Al futuro ci si arriva anche se si sta fermi, quindi meglio muoversi, andargli incontro: conviene.
Chi poi, come me, ha una certa fretta di vederlo, il futuro, può fare un salto qui.
Design and the Elastic Mind è l’esposizione del MOMA che guarda lì dove l’arte, la tecnologia e le persone si incontrano: in molti casi si guarda nel punto giusto, in altri mi sembra un po’ meno.
Dovendo sceglierne uno, ma proprio uno: Dressing the Meat of Tomorrow.

mercoledì 5 marzo 2008

Cornici tecnologiche e carte da parati di un certo livello


Io ho detto: mi piacerebbe lavorare nel reparto cellulari, sono un appassionato di cellulari, allora il tipo ha sorriso [di un sorriso malvagio] e ha risposto, tra una settimana, diventerai appassionato di cavalli.
Non so perché proprio di cavalli, tra l'altro i cavalli continuano a non piacermi troppo, ma devo ammettere che aver lavorato da Eldo ha cambiato il mio rapporto con la tecnologia: non cambio più il cellulare ogni tre mesi, non ho idea di quale sia la mia tariffa né tantomeno le opzioni attivabili: questo finché non arriverà l'iphone, ovviamente.
Il posto migliore per ingannare l'attesa è Poolga, una raccolta di wallpaper per iphone: carta da parati di un certo livello, però.
In Poolga non troverete Ferrari che sfrecciano in curva o eroine fantasy particolarmente discinte, ma delle immagini particolarmente belle, alcune talmente belle da far dimenticare la cornice.

giovedì 14 febbraio 2008

Com'è piccolo il mondo


Mi piacciono quei posti dove entri e potresti essere ovunque; volendo fare un esempio: il vagone della metropolitana.
Fuori, diciamo “sopra”, potrebbero esserci Roma, Parigi, Londra, magari New York.
Le persone son sempre le stesse, i giornali pure, la musica che ascoltano, non c’è niente che dice voi siete qui.
Ecco, il Bistrot di via Tiepolo a Roma è un po’ così.
Uno ci entra, vede tutto quel legno sulle pareti, i tavolini, l’architettura un po’ incerta, e pensa: sono in Irlanda, se mi affaccio da lì vedo pure il mare.
Poi, sentendo gli odori, si scivola giù a Londra, perché questo è curry, no?
Potrebbe essere Londra, sì, oppure Parigi, dalle foto sulle pareti si direbbe Parigi, perché questa è Montmartre, si vede il Sacrè Coeur.
Se una sera volete uscire un po’, il Bistrot è un piccolo viaggio.
Un'ultima cosa: i dolci li fa una siciliana.

venerdì 18 gennaio 2008

Dalla Calabria con liquore

Non amo myspace, un po’ perché il Firefox del Mac lo carica male, un po’ perché il sistema del testo [che scorre] sullo sfondo [che sta fermo] non riesco a mandarlo giù.
Forse potrei provare con l’Amaro del Capo, l'unico piacere ghiacciato.
L’Amaro del Capo è un liquore tipico calabrese, e fin qui niente da dire, che ha un suo spazio su myspace, e qui c’è molto da dire.
Nelle note c’è scritto grosso così che l’azienda che lo produce non ha niente a che vedere con lo space, la cosa è dubbia, però non è importante: la cosa importante sono i commenti dei 449 amici dell’Amaro del Capo.
Dovendo sceglierne tre, mi piace ricordare le parole di Vincenzo, che scrive vecchio amico, sempre fidato, più gustoso se congelato, quelle di Sesè che sottolinea la necessità di sostenere la Calabria partendo dall'alcool, per chiudere con quelle di Gianluca: beddu tu, Amaro del Capo!

lunedì 14 gennaio 2008

Quando rien ne va plus


Parlo di tempi in cui ci si trova a pensare vabbè, male che va metto su un’azienda tutta mia, un po’ come dire se la nave affonda non c’è problema, me la faccio a nuoto fino all’America.
Un’altra soluzione l’ha trovata Ashley Revell, inglese: si è venduto tutto, ma proprio tutto, la casa, la macchina, l’orologio, andando in ordine di prezzo, e poi l’ipod, le scarpe, il portachiavi di pelle, andando in ordine sparso: tutto.
Alla fine ha tirato su 136 mila dollari, che non sono neanche pochi, ha preso l’aereo ed è atterrato a Las Vegas.
A questo punto non è che ci sia molto da aggiungere alla storia, però un particolare va detto: ha noleggiato lo smoking.
Son quelle cose, piccole, a cui uno ci si può attaccare con tutta l’energia del mondo: sono qui, a migliaia di chilometri da casa, che mi gioco la mia vita, le mie cose, e devo scegliere tra il rosso e il nero, e pensare che il rosso è il colore del pericolo, e il nero, vabbè, il nero è meglio lasciar perdere, e allora rosso, e che dio la mandi buona: dentro uno smoking si può anche perdere tutto, ma non l’eleganza, non la dignità.
In Italia, due imprese su tre falliscono nei primi due anni di vita, a Las Vegas c’è una possibilità su due di raddoppiare il capitale.
Andate a scoprire com’è andata a Ashley Revell, e fate il vostro gioco.

venerdì 11 gennaio 2008

Se siete a Lisbona e volete mangiare a casa

La Casa do Alentejo di Lisbona è uno splendido palazzo del seicento, uma construção resistente que sobreviveu ao Terramoto.
Il Terramoto di cui sopra deve essere stata una bella botta, perché è del 1755, ma la gente ancora trema.
Effettivamente l’Igreja do Carmo c’ha rimesso tutto il tetto: prima si era pensato di rimetterla a posto, poi hanno rinunciato: un po’ perché così, colle colonne che tengono su il cielo, è quasi più bella, un po’ perché hai visto mai.
Tornando alla Casa do Alentejo, oltre ad essere uno splendido palazzo resistente, è anche un ottimo ristorante.
La Casa è infatti la sede del Gremio Alentejo, un circolo culturale fatto di gente che ama la sua terra: e anche mangiare, evidentemente.
Io ci ho mangiato, è andata così.
Sono arrivato al numero 58 di Rua das Portas de Santo Antão, e la prima cosa che ho pensato è stata: ma è l’indirizzo giusto?
No perché c’è un portone e basta.
Il portone era aperto, e dentro c’era un cortile splendido, e lì mi son convinto che l’indirizzo era sbagliato, però un giro volevo farmelo comunque, con quell'invadenza che solo i turisti.
Sulla destra c’erano delle scale ricoperte di azulejos, illuminate poco.
Salendo le scale, si cominciava a sentire rumore di piatti e forchette e risate, e la sensazione era quella di andare a casa della gente all’ora di cena.
Di sale ce n’erano tre:
- una magnifica e vuota, con le sedie dorate e i lampadari che pesano tonnellate, che se la vedesse Kubrick saprebbe cosa farne;
- una con un po’ di gente, un camino e le pareti con gli azulejos che raccontano la vita contadina, che è la sala dove ho mangiato;
- una con tanta gente, le pareti con gli azulejos blu molto più belli, che è la sala riservata ai soci.
Dall’altra parte c’era una stanza con un vecchio che guardava il televisore, immagino il nonno.
Non sto a dire come si mangia, perché io ho mangiato bene, ma non sono di quelli che trovano sentori di ginepro nel vino rosso.
Posso dirvi che il posto è decadente e magnifico, che sembra un covo di partigiani alla vigilia dell’attacco, che invece di star lì a preoccuparsi mangiano, bevono e ridono, che poi è il modo migliore per prepararsi alla battaglia, o per passare una serata.