venerdì 18 gennaio 2008

Dalla Calabria con liquore

Non amo myspace, un po’ perché il Firefox del Mac lo carica male, un po’ perché il sistema del testo [che scorre] sullo sfondo [che sta fermo] non riesco a mandarlo giù.
Forse potrei provare con l’Amaro del Capo, l'unico piacere ghiacciato.
L’Amaro del Capo è un liquore tipico calabrese, e fin qui niente da dire, che ha un suo spazio su myspace, e qui c’è molto da dire.
Nelle note c’è scritto grosso così che l’azienda che lo produce non ha niente a che vedere con lo space, la cosa è dubbia, però non è importante: la cosa importante sono i commenti dei 449 amici dell’Amaro del Capo.
Dovendo sceglierne tre, mi piace ricordare le parole di Vincenzo, che scrive vecchio amico, sempre fidato, più gustoso se congelato, quelle di Sesè che sottolinea la necessità di sostenere la Calabria partendo dall'alcool, per chiudere con quelle di Gianluca: beddu tu, Amaro del Capo!

lunedì 14 gennaio 2008

Quando rien ne va plus


Parlo di tempi in cui ci si trova a pensare vabbè, male che va metto su un’azienda tutta mia, un po’ come dire se la nave affonda non c’è problema, me la faccio a nuoto fino all’America.
Un’altra soluzione l’ha trovata Ashley Revell, inglese: si è venduto tutto, ma proprio tutto, la casa, la macchina, l’orologio, andando in ordine di prezzo, e poi l’ipod, le scarpe, il portachiavi di pelle, andando in ordine sparso: tutto.
Alla fine ha tirato su 136 mila dollari, che non sono neanche pochi, ha preso l’aereo ed è atterrato a Las Vegas.
A questo punto non è che ci sia molto da aggiungere alla storia, però un particolare va detto: ha noleggiato lo smoking.
Son quelle cose, piccole, a cui uno ci si può attaccare con tutta l’energia del mondo: sono qui, a migliaia di chilometri da casa, che mi gioco la mia vita, le mie cose, e devo scegliere tra il rosso e il nero, e pensare che il rosso è il colore del pericolo, e il nero, vabbè, il nero è meglio lasciar perdere, e allora rosso, e che dio la mandi buona: dentro uno smoking si può anche perdere tutto, ma non l’eleganza, non la dignità.
In Italia, due imprese su tre falliscono nei primi due anni di vita, a Las Vegas c’è una possibilità su due di raddoppiare il capitale.
Andate a scoprire com’è andata a Ashley Revell, e fate il vostro gioco.

venerdì 11 gennaio 2008

Se siete a Lisbona e volete mangiare a casa

La Casa do Alentejo di Lisbona è uno splendido palazzo del seicento, uma construção resistente que sobreviveu ao Terramoto.
Il Terramoto di cui sopra deve essere stata una bella botta, perché è del 1755, ma la gente ancora trema.
Effettivamente l’Igreja do Carmo c’ha rimesso tutto il tetto: prima si era pensato di rimetterla a posto, poi hanno rinunciato: un po’ perché così, colle colonne che tengono su il cielo, è quasi più bella, un po’ perché hai visto mai.
Tornando alla Casa do Alentejo, oltre ad essere uno splendido palazzo resistente, è anche un ottimo ristorante.
La Casa è infatti la sede del Gremio Alentejo, un circolo culturale fatto di gente che ama la sua terra: e anche mangiare, evidentemente.
Io ci ho mangiato, è andata così.
Sono arrivato al numero 58 di Rua das Portas de Santo Antão, e la prima cosa che ho pensato è stata: ma è l’indirizzo giusto?
No perché c’è un portone e basta.
Il portone era aperto, e dentro c’era un cortile splendido, e lì mi son convinto che l’indirizzo era sbagliato, però un giro volevo farmelo comunque, con quell'invadenza che solo i turisti.
Sulla destra c’erano delle scale ricoperte di azulejos, illuminate poco.
Salendo le scale, si cominciava a sentire rumore di piatti e forchette e risate, e la sensazione era quella di andare a casa della gente all’ora di cena.
Di sale ce n’erano tre:
- una magnifica e vuota, con le sedie dorate e i lampadari che pesano tonnellate, che se la vedesse Kubrick saprebbe cosa farne;
- una con un po’ di gente, un camino e le pareti con gli azulejos che raccontano la vita contadina, che è la sala dove ho mangiato;
- una con tanta gente, le pareti con gli azulejos blu molto più belli, che è la sala riservata ai soci.
Dall’altra parte c’era una stanza con un vecchio che guardava il televisore, immagino il nonno.
Non sto a dire come si mangia, perché io ho mangiato bene, ma non sono di quelli che trovano sentori di ginepro nel vino rosso.
Posso dirvi che il posto è decadente e magnifico, che sembra un covo di partigiani alla vigilia dell’attacco, che invece di star lì a preoccuparsi mangiano, bevono e ridono, che poi è il modo migliore per prepararsi alla battaglia, o per passare una serata.